Cerca
Close this search box.

La prima Epifania dell’opera MARIA, 1995

maria-cholula-dettoni-1995

Anni di lavoro con la materia malleabile: il movimento delle mani, contenendola e modellandola nel silenzio degli occhi chiusi. Il trovare tangibile di quello che non conosci ancora e che ti porta alla conoscenza.

Un giorno di primavera del 1995, Suor Teresa Cañamás, direttrice della scuola “La Purísima para niños sordos” di Palma di Maiorca, mi chiese di scolpire per la sua Comunità un’immagine di Maria, la Madre di Gesù. Per farmi ben capire quello che si aspettava da me mi mostrò, nel corridoio della loro clausura, una statua di gesso dell’Immacolata, grande, vestita d’azzurro, con un volto dolce, una corona di stelle e la luna ai piedi. Mi confuse quell’immagine. Ero in partenza per il Messico e portai dentro di me quella richiesta che era diventata come un “seme”. In Messico ero ancora confuso, perché le immagini di Maria, così lontane, mi ricordavano quella dell’Immacolata nel corridoio della clausura; ma questa mia confusione e la devozione popolare diventarono, a loro volta, “l’acqua” che fece germogliare il seme dentro di me. Di buona mattina, durante una visita al mercato di Puebla trovai della cera. La cera è la materia con la quale di solito lavoro e, malgrado quella cera messicana fosse poco purificata, mi ricordava il marmo e me ne sentii attratto.

Di ritorno in Spagna, avevo deciso di non pensare più a Maria, ma avevo voglia di provare quella cera: si univano in me il desiderio di modellare e il sentimento di doverlo fare. Per incominciare non avevo bisogno di altro e così, nel silenzio degli occhi chiusi, scoprii nel vuoto delle mie mani quello che non conoscevo. Una realtà tangibile che prendeva forma poco a poco e che acquistava tutto il suo significato contenendola tra le mani. Riconobbi nella mia memoria di Maria le immagini che avevo visto in Messico e anche quella dell’Immacolata nel corridoio della Clausura. IRicordai le mie visioni durante la visita a Nazareth: il pozzo di Maria, verso il quale mi sembrava d’averla vista camminare, la sua casa in quella grande chiesa a Lei dedicata. Non avevo l’intenzione consapevole di modellare la statua per renderla multiforme. Nacque così dai miei ricordi, da sola. Mi resi conto che, toccando la statua con gli occhi, una volta aperti, e guardandola da diversi punti di vista, essa diventava un’Icona multiforme che rivelava momenti della vita di Maria e anche i momenti della vita di ogni persona.

Incominciai a ritoccarla con l’affanno della perfezione delle forme, aprendo e chiudendo gli occhi, un po’ distratto dal mio mestiere di scultore. Gli occhi mi permettevano di guardarla da diversi angoli e di vedere momenti della sua vita e quella di tutti noi. Di nuovo appariva quello che avevo riconosciuto nella mia memoria.

Nel mese di luglio di quell’anno, un articolo “Le mani contengono la Vergine” dello scrittore e sacerdote Miquel Ambròs pubblicato dalla rivista ‘Brisas’ di Palma di Maiorca, raccontava la nascita di quest’immagine e dei miei timori. Mostrandogliela, chiesi: “ma…si può tenere la Madonna in mano?” Mi rispose citandomi la prima lettera di San Giovanni: Vi annunciamo quello che abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quello che abbiamo contemplato e che abbiamo toccato con le nostre mani: La Parola della Vita.

Guido Dettoni della Grazia